COMPORTO PER MALATTIA NEL SETTORE FERROVIARIO. CORRETTA INTERPRETAZIONE DELLA CLAUSOLA COLLETTIVA IN MATERIA (ART. 32 CCNL ATTIVITA’ FERROVIARIE 2012) DICHIARAZIONE DI ILLEGITTIMITA’ DEL LICENZIAMENTO PER SUPERAMENTO DEL PERIODO DI COMPORTO.
Si segnala la interessante sentenza n. 386/2016, pronunciata dalla Corte di Appello di Firenze, sez. lav., sul reclamo presentato da un lavoratore, patrocinato dall’Avv. Emanuela Manini, licenziato da Trenitalia Spa per superamento del periodo di comporto, ai sensi dell’art. 32 CCNL della Mobilità/Area Contrattuale Attività Ferroviarie 20/7/2012.
La vicenda prende avvio a seguito del licenziamento intimato da Trenitalia Spa ad un lavoratore che prima della scadenza del periodo di comporto breve (12 mesi) certificava un ulteriore periodo di malattia che si protraeva, senza soluzione di continuità, per complessivi 41 giorni.
Ritenendo che nella fattispecie dovesse applicarsi il comporto lungo (15 mesi), il lavoratore impugnava il licenziamento, frattanto intimatogli, dinanzi al Tribunale di Firenze, sez. lav., che tuttavia sia nella fase sommaria che in quella di opposizione, rigettava il ricorso.
La Corte di Appello di Firenze, adita dal lavoratore in sede di reclamo, con sentenza n. 386/2016, ha dato ragione a quest’ultimo, fornendo la corretta interpretazione della norma collettiva applicata, la quale recita: “qualora l’ultimo evento morboso in atto al termine del periodo di comporto (ndr: di dodici mesi) risulti di durata superiore a 40 giorni, il periodo di comporto sarà pari a 15 mesi…” (art. 32 CCNL della Mobilità/Area contrattuale attività ferroviarie).
Si legge nella citata sentenza: “La ratio di tale disposizione obbedisce all’esigenza di un prolungamento della sospensione del rapporto in considerazione della sussistenza di uno stato di malattia di una certa gravità e che quindi impedisca la prestazione per almeno 41 giorni.
Se alla scadenza dei dodici mesi è in atto una ulteriore malattia che risulti di durata superiore a 40 giorni il comporto si prolunga per altri tre mesi, ancorchè con una consistente riduzione della retribuzione.
La parti sostanzialmente concordano su tale premessa, tuttavia il datore di lavoro ritiene (in linea con la pronuncia in primo grado oggi reclamata) che la nuova malattia, in atto alla scadenza del comporto ordinario, debba essere certificata con una durata di più di 40 giorni e questo per consentire di avvalersi del recesso per il superamento del periodo massimo di sospensione o prorogarlo fino ai quindici mesi. Al contrario, il lavoratore sostiene che sia indifferente se il superamento dei 40 giorni sia certificato da una o più attestazioni e cioè se la durata della nuova malattia debba valutarsi ex ante od ex post.
E’, ora, opinione del Collegio che la valutazione ex post trovi il suo fondamento nella lettera della previsione contrattuale, se si pone mente all’uso del termine “risulti” ad opera delle parti negoziali.
Nell’affermare il diritto al comporto lungo, la clausola contrattuale la subordina alla circostanza che l’evento morboso “risulti di durata superiore ai quaranta giorni”. Risultare, infatti, indica una ricognizione ex post, cioè la verifica di un risultato e tale verifica, ovviamente, non può farsi sulla base di una originaria previsione, posto che, per definizione, la malattia può esordire suggerendo una prognosi veloce e poi progredire comportando un prolungamento dello stato di inabilità.
Solo alla sua cessazione, dunque, è possibile stabilire quale sia (stata) la sua durata. Né a soluzione contraria può condurre l’argomento datoriale sulla esigenza di conoscere subito, alla scadenza del comporto ordinario, quali siano le condizioni del dipendente, in considerazione dell’impegno contrattuale assunto con la previsione di cui all’art. 32 CCNL che impone al datore di lavoro di attendere 12 mesi e quaranta giorni prima di esercitare il recesso, qualora, come nella specie, la malattia sia in atto alla scadenza dell’anno”.
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Muovendo da tale (corretta) interpretazione della norma collettiva, la Corte di Appello ha dichiarato la illegittimità del licenziamento intimato ed ha ordinato a Trenitalia Spa di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro, nonché di corrispondergli il risarcimento del danno.
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Sentenza n. 386/2016.
Avv. Emanuela Manini
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