Licenziamento disciplinare di un dipendente di Trenitalia Spa, intimato a seguito del reiterato rifiuto del lavoratore a condurre il treno con modalità “ad agente unico”. Declaratoria di illegittimità del licenziamento ed ordine di reintegra del lavoratore per insussistenza giuridica del fatto contestato. Breve commento alla sentenza n. 320/2016 del 19/7/2016, pronunciata dalla Corte di Appello di Genova, sez. lav.
Si segnala la interessante sentenza n. 320/2016, pubblicata il 19/7/2016, della Corte di Appello di Genova sez. lav., chiamata a pronunciarsi in una controversia avente ad oggetto il licenziamento disciplinare, intimato da Trenitalia Spa ad un macchinista, a seguito del rifiuto di quest’ultimo di condurre il treno con modalità ad agente unico.
Dichiarata la illegittimità del licenziamento dal Tribunale di Genova sia nella prima fase che in quella di opposizione, la Corte di Appello di Genova, sez. lav., è stata investita della controversia in sede di reclamo da Trenitalia Spa, la quale ha invocato la declaratoria di illegittimità del licenziamento e per l’effetto la riforma della sentenza confermativa della ordinanza resa nella fase sommaria.
La adita Corte di Appello, nel rigettare il ricorso promosso da Trenitalia Spa, ha ripercorso i ragionamenti seguiti dal Tribunale nelle precedenti fasi, offrendo interessanti spunti di riflessione.
In proposito, i fatti, oggetto di causa, non erano in contestazione, trattandosi unicamente di stabilire se il rifiuto del macchinista alla condotta del treno, con equipaggio composto da un macchinista e da un tecnico polifunzionale deputato ad attività di supporto ma senza abilitazione alla condotta (modulo di condotta ad agente unico) fosse giustificato dal dedotto inadempimento da parte di Trenitalia Spa rispetto alle obbligazioni di sicurezza (art. 2087 cc., art. 45 dlgs n. 81/2008 “Pronto Soccorso”, Decreti ministeriali 388/2003, 19/2011) e se , per l’effetto, il ricorrente potesse invocare l’eccezione di inadempimento, di cui all’art. 1460 cc.
A sostegno della propria decisione di dichiarare illegittimo il licenziamento disciplinare, intimato al lavoratore, la Corte territoriale ha condiviso la tesi del Tribunale, secondo cui il modulo di condotta ad agente unico costituisse “un arretramento della tutela antinfortunistica essendosi dilatati i tempi di soccorso per il macchinista che, colto da malore, sia impossibilitato a proseguire nella conduzione del treno. Ed ha ritenuto di ravvisare, in ciò, una violazione sia dell’art. 2087 cc., sia delle disposizioni relative al pronto soccorso laddove impongono ai gestori delle infrastrutture e alle imprese ferroviarie di predisporre “…procedure operative per attuare uno specifico piano di intervento che preveda per ciascun punto della rete ferroviaria le modalità più efficaci al fine di garantire un soccorso qualificato nei tempi più rapidi possibili anche per il trasporto degli infortunati” (art. 4 del decreto interministeriale n. 19/2011)”.
Anche sul fronte dei soccorsi al macchinista colto da malore, la Corte di Appello ha condiviso le argomentazioni della impugnata sentenza, secondo cui “l’adozione del modulo di equipaggio misto determina un rallentamento dei primi soccorsi da prestare al macchinista qualora un malore o altro evento gli impedisca di proseguire nella guida con conseguente aumento del rischio che (a fronte di eventi quali l’infarto del miocardio ed altri analoghi) i soccorsi possono arrivare quando ormai vi è stato un esito letale”.
Proseguendo nel proprio ragionamento, la Corte territoriale è giunta alla seguente conclusione “In definitiva, questa Corte territoriale ritiene di dover recepire le valutazioni formulate dal giudice di primo grado in ordine alla effettiva sussistenza di un inadempimento datoriale, per aver Trenitalia Spa adottato una modifica dell’assetto organizzativo che, specie con riferimento alle linee ferroviarie che vengono in rilievo nella presente decisione, ha determinato un significativo incremento del rischio per la salute del macchinista. Vanno qui ribadite le valutazioni del giudice di primo grado quanto alla necessità di dare piena protezione al diritto alla salute dei lavoratori laddove sia materialmente possibile da parte dell’imprenditore adottare un modello organizzativo maggiormente efficace; e, nel caso in esame, che vi fosse tale possibilità emerge in modo indiscutibile dal fatto che un modello maggiormente efficace a fornire un primo soccorso sollecito era stato già adottato da Trenitalia Spa con il precedente modulo di equipaggio, poi dismesso unicamente per ridurre i costi a carico dell’azienda”.
Da ultimo, quanto alla invocata applicazione da parte di Trenitalia Spa dell’art. 56, lett. h, CCNL della Mobilità, secondo cui “il lavoratore deve eseguire gli ordini inerenti all’esplicazione delle proprie funzioni e mansioni che gli siano impartite dai superiori gerarchici e funzionali; se l’ordine è palesemente contrario ai regolamenti ed istruzioni deve farne rimostranza al superiore che lo ha impartito dichiarandone le ragioni; se l’ordine è rinnovato per iscritto ha il dovere di darvi esecuzione. Non deve, comunque eseguire l’ordine quando la sua esecuzione possa comportare la violazione di norme penalmente sanzionate”;
la Corte di Appello, a sostegno della inapplicabilità del citato articolo, ha dichiarato che “…il succitato art. 56, lettera h, del CCNL di categoria non possa interpretarsi nel senso invocato dalla reclamante (ndr: Trenitalia), non essendo infatti ammissibile che le parti sociali abbiano derogato a norma imperativa pregiudicando il diritto dei lavoratori a far valere l’eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460 cc. a tutela della loro integrità psicofisica”.
Di qui, la Corte di Appello ha dichiarato la illegittimità del licenziamento disciplinare intimato da Trenitalia Spa ed ha ordinato a quest’ultima di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro, ai sensi dell’art. 18, 4 comma, L. 300/1970 (Legge Fornero), sul presupposto che il fatto contestato fosse sussistente dal punto di vista materiale, ma fosse connotato da “antigiuridicità”.
Avv. Emanuela Manini
Allegata: sentenza 320/2016
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